Caro Babbo Natale,
quest’anno non ti chiedo giocattoli, né regali costosi.
Non ti chiedo niente per me, ma ti scrivo con la speranza che tu possa portare qualcosa a tutti noi che, come me, passiamo le giornate tra il sudore e la paura. Vorrei che tu portassi sicurezza nelle nostre fabbriche, nei cantieri, nei campi e negli uffici. Che nessuno debba più avere il cuore in gola mentre lavora, pensando che un errore o un’incuria possano costargli la vita.
Vorrei che tu portassi giustizia. Per chi è rimasto sotto un macchinario, per chi è caduto da un ponteggio, per chi è soffocato nei fumi di un capannone. Giustizia per chi è morto senza un perché, dimenticato da tutti, come se il suo lavoro fosse stato un sacrificio inevitabile.
Vorrei che tu portassi rispetto. Rispetto per le mani che costruiscono, per i corpi che si spezzano, per le famiglie che restano a casa ad aspettare. Rispetto per noi, che spesso veniamo trattati come numeri, sostituibili, sacrificabili.
E se ti avanza spazio nella slitta, porta anche un po’ di dignità. Quella che ci manca quando il nostro stipendio non basta per vivere, quando lavoriamo troppo senza mai avere tempo per i nostri figli, o quando ci chiedono di rischiare perché “è così che si fa”.
Caro Babbo Natale, non ti chiedo la luna. Solo un mondo dove il lavoro sia davvero ciò che dovrebbe essere: una parte della vita, e non la fine di essa.
Con speranza,
Giuseppe D’Inverno
Un operaio qualunque